“Il Molinello 2007” - Sara Bessi, Giuseppe Bruni, Silvio Ulivelli

Copertina di "Le Piastre - Patagonia"

Le Piastre - Patagonia

Dopo aver letto con estrema attenzione i due racconti che compongono questo libro, ho acceso una sigaretta, mi sono servito un bicchiere di vino e ho guardato piovere fuori dalla finestra su Gijón. Cadeva un forte acquazzone che lasciava a stento sentire il rumore del vicino Mar Cantabrico. Chiunque avrebbe potuto dichiarare che il mare non esisteva, e questa bugia per definire metaforicamente una pioggia intensa, fitta e insistente era legit­ima sia per chi la diceva, sia per chi voleva ascoltarla.
In fondo è questa l'essenza della letteratura, mentire e a partire da una menzogna suggerire una realtà alternativa, sovrapposta o sotterranea, o sottomarina. Non si può andare in Patagonia sedotti soltanto dai numerosi, infiniti festival di bugie che vi si tengono in qualunque periodo dell'anno e talvolta ogni giorno. Non si può chiedere: «Dove si raccontano bugie qui?», perché chi ha fatto la domanda verrà senz'altro mandato a quel paese, e giustamente.
Una volta, in qualche libro, ho scritto che per conoscere la Patagonia è fondamentale tenere gli occhi, il naso e gli orecchi ben aperti. In questi rac­conti, gli autori citano una delle più frequenti e dolci bugie che si ascoltino nel mondo australe. Ma bisogna capire la sagacia di questa bugia, che è una bugia, sì, ma non un inganno. Mi spiego: per qualche incomprensibile ragione, le autorità cilene proibiscono la vendita di vino nei luoghi "informali" in cui si consumano i migliori frutti di mare e crostacei del mondo. Chi non è del posto e non conosce i codici di comunicazione locali, pungolato dalla sete di vino che risveglia un bel granchio di due chili, oppure ostriche grosse come un piatto, chiede con tutto il suo candore se per caso c'è del vino. Gli rispondono di no, ma subito gli domandano se non desideri bere un tesssito freddo.
Noi cileni beviamo il tè, non abbiamo la cultura del caffé; un cretino ha detto che siamo gli inglesi dell'America del Sud. Il diminutivo di tè, in spa­gnolo, è tecito, che si pronuncia così, "tesito", ma qualunque patagone o cileno del sud sa che se la "s" si allunga, la bevanda offerta non è l'acqua calda degli inglesi ma vino bianco freddo, vino pipeño, vino giovane e frizzante, un vino fondamentale per accompagnare i migliori frutti di mare e crostacei del mondo.
Qualunque europeo dirà: mi hanno mentito quando hanno detto che non avevano vino. Proprio così, ma non lo hanno ingannato quando gli hanno offerto un tesssito freddo, perché non gli hanno servito tè. Insomma, se l'europeo ignora la differenza tra un tecito e un tesssito, che l'impari o si arrangi, ma non cerchi di vedervi un inganno.
Nello stesso modo si mente, ma non si inganna, per violare certe leggi ingiuste che favoriscono solo i padroni delle navi da pesca. Mi spiego di nuovo: se esiste un frutto di mare apprezzato dai cileni, questo è il loco, una conchiglia strana, enorme, detta anche abalón nei mercati internazionali, dalle squisite carni bianche. Di norma i cileni non possono mangiare locos, perché ne è stata vietata la pesca, ufficialmente per motivi legati alla protezione della specie. Ma i locos continuano a essere esportati: in Giappone, Corea e Cina, ho mangiato i migliori locos cileni.
Allora, se qualcuno va al mercato di Santiago o di Angelmó, la porta d'ingresso della Patagonia, e domanda se ci sono locos, gli risponderanno di no, ma subito aggiungeranno a voce bassa: «Però abbiamo locos di quelli che non ci sono. Come li vuole? Al pil-pil o con la maionese?».
Dov'è la bugia? Dov'è l'inganno?
Ho letto con piacere i due racconti che formano questo libro, ma mi ha preoccupato l'ansia così europea di "sistematizzare" ciò che esiste per genera­zione spontanea, come le dolci bugie che si dicono in Patagonia. Pochissimi anni fa, sono stato a un raduno di gauchos legato alla marchiatura degli ani­mali. Per tutto il giorno avevano sfoggiato la loro maestria con il lazo e la destrezza con cui bloccavano a terra un capo di bestiame e lo segnavano con il ferro incandescente. Eravamo vicino a Epuyén, nella parte argentina della Patagonia. All'improvviso, un gaucho ha cominciato a raccontare una storia: mentre teneva giù una vacca per marchiarla, la bestia aveva tirato un peto così forte che gli aveva strappato il ferro rovente di mano e l'aveva fatto volare via, mandandolo a sbattere proprio sul culo del padrone delle mucche. Abbiamo riso tutti, nessuno ha messo in dubbio la storia, perché il lavoro è già abbastanza duro e non c'è bisogno di sporcare con la logica il divertimento che ti procura qualcuno bravo a narrare storie. Poi altri gauchos hanno continuato spontaneamente a raccontare bugie, e non dimentico che una persona lì presente voleva registrarle. Subito gli abbiamo detto di non farlo, perché sapere che questa e tutte le altre menzo­gne di quella sera erano registrate avrebbe fatto sì che nessuno le ripetesse, ingigantite o variate, durante qualche altra marchiatura o incontro sotto il ciclo australe.
Le "bugie" raccontate dagli abitanti della Patagonia sono un grande eser­cizio verbale, una prova che è possibile capirsi al di là dei parametri delle "logiche leggi della comunicazione". Sono una prova di libertà sotto le stelle. Gli abitanti del primo mondo hanno tutto il diritto di essere felici conversando attraverso le chat o i loro telefoni cellulari. Noi, laggiù, nel SUD del mondo, preferiamo ritrovarci davanti a un bel fuoco e ascoltare, per esempio, un gaucho uruguayano come Juanito il Castratore che racconta: «Al mio paese c'era un tizio che aveva la gamba destra venti centimetri più corta della sinistra. Camminava con una gamba sopra il marciapiede e l'altra sotto. Così, ogni volta che lo vedevamo avviarsi, gli chiedevamo dove andava, e lui rispondeva: a vedere un po' di mondo. Come potete immaginare, riusciva a fare solo il giro dell'isolato e poi tornava sempre nello stesso posto, ma felice, e sapete perché? Perché a forza di fare il giro dell'isolato aveva scoperto che il mondo era quadrato».

Gijón, novembre 2005
Luis Sepùlveda

Sara Bessi vive a Montemurlo e lavora a Empoli. È giornalista professionista.
Giuseppe Bruni vive e opera a Pistoia. E psicologo e psicoterapeuta.
Silvio Ulivelli vive e lavora a Firenze. Svolge l'attività di editor per la Edizioni Remo Sandron.
opera:
Le Piastre - Patagonia
autore:
Sara Bessi, Giuseppe Bruni, Silvio Ulivelli
editore:
Comune di Pistoia